top of page
Cerca
  • Immagine del redattoreDott.ssa Moretti

Volevo diventare papà

Aggiornamento: 8 set 2019

"Certo, io soffrivo tantissimo questa mancanza. La pativo in un modo che ero solito definire femminile, tanto era forte il mio desiderio di avere un figlio: tuttavia, sapevo bene che il mio dispiacere non era nemmeno lontanamente paragonabile a quello di mia moglie. Spesso ci provavo, a mettermi nei suoi panni, per poi concludere che non era davvero possibile capire quale terribile carico di sofferenza stesse sopportando quella donna così apparentemente fragile nell’aspetto e così straordinariamente forte nell’animo. Nemmeno per me, che pure le vivevo accanto e somatizzavo ogni suo singolo sospiro, cercando di fare il possibile per rendere quel calvario meno doloroso. Spesso questo comprendeva anche il fatto di non rendere visibile il mio vero stato d’animo, un po’ come si fa nascondendo la polvere sotto il tappeto, e quello era decisamente uno di quei momenti. Ma la mia sensazione di impotenza, perfino d’inadeguatezza, era costante, e qualsiasi cosa facessi sapeva di palliativo. Non c’era una sola frase una sola parola, un solo gesto che potesse rendere meno sopportabile sia quel momento che il pensiero di un futuro molto diverso da quello che avevamo sognato e progettato tanti anni prima. Non sapevo più cosa dire, cosa fare, cosa pensare, e arrivai al punto di sentirmi il vero colpevole di quella sua immane angoscia. Chissà, pensai, se avesse sposato un altro uomo a quest’ ora sarebbe una madre felice, anziché quella maschera di sofferenza che non riuscivo nemmeno più a guardare dal male che mi faceva. E chissà probabilmente quella stessa sofferenza sarebbe stata un pochino più sopportabile per lei se solo fosse stato capace di fingere un po’ meglio di quanto non avessi mai fatto, e di non farle capire quanto pesasse anche a me il fatto di non essere riusciti a mettere al mondo un bambino.

.... Emisi l'ennesimo respiro e soffocai l'ennesimo pianto, in attesa di essere da solo e di potermi finalmente permettere di cedere alle mie debolezze, com'era successo tante altre volte."


Tratto da "Volevo diventare papà" di A.Roselli


Oggi ho voluto pubblicare questo testo estratto dal libro “Volevo diventare papà” di Andrea Roselli il quale ha voluto dare voce ad una sofferenza spesso sommersa quella degli uomini che si confrontano con la diagnosi dell’infertilità e con i trattamenti e i fallimenti dei percorsi di fecondazione assistita.

Una sofferenza taciuta dagli uomini stessi perché la considerano inferiore a quella delle proprie compagne viste private del diritto di ogni donna di donare la vita come lo stesso Roselli scrive, taciuta perché, anche quando è l’uomo ad essere infertile, è la donna a sottoporsi ai trattamenti invasivi dei protocolli di PMA con i conseguenti sentimenti di colpa, impotenza, inadeguatezza nel confortare il dolore delle loro compagne le quali al contrario sentono il bisogno di condividerlo. Taciuta perchè spaventati dal proprio dolore oltre che da quello della propria compagna. Gli uomini difficilmente parlano delle proprie emozioni soprattutto quando fanno male. più interessati di fronte ad un problema a trovare soluzioni concrete o in alternativa ad evitare di elaborare ciò che provano fuggendo in attività che possono favorire al distrazione (lavoro hobby ecc.)

Lo stesso studio pubblicato da Peterson ha evidenziato il ricorso a diverse strategie di coping da parte delle donne e degli uomini infertili. Le donne secondo Peterson, utilizzerebbero in maniera proporzionale strategie di affrontamento dello stressor, accettazione della responsabilità, ricerca di supporto sociale, ed evitamento di situazioni che ricordino la propria condizione, mentre gli uomini sarebbero più propensi ad adottare strategie di coping legate alla distanza emotiva, al self-control e alla pianificazione di soluzioni legate al problema.

Secondo l’autore la distanza emotiva nell’uomo sarebbe correlata a una riduzione dello stress legato all’infertilità, rivelandosi pertanto una buona strategia di adattamento personale alla situazione ma, al contempo, può interferire negativamente sulla relazione di coppia, in termini di connessione e coesione con la partner. Questo dato assume più valore in quelle situazioni di coppia in cui la donna sente il bisogno di confrontarsi con il dolore legato all’esperienza di infertilità, mentre il partner, in linea con le norme legate alla mascolinità e nel tentativo di sostenere la donna in un momento di dolore e sconforto, tende a sopprimere le proprie emozioni e ritirarsi ancora di più, trasmettendo alla donna l’idea che non sia abbastanza coinvolto nella vicenda. Questo meccanismo porterebbe a un modello circolare fatto da polarizzazione e isolamento in un momento in cui entrambi dovrebbero darsi di più.

Pertanto questa mancanza di condivisione per proteggersi e per proteggere la compagna fanno pensare erroneamente alle partner di essere sole a soffrire e ad interessarsi e affrontare il percorso o che i loro partner non stiano soffrendo o stiano soffrendo meno perché “non sono donne e non possono capire”oppure spinte precocemente a trovare delle soluzioni immediate quando al contrario sentono il bisogno di fermarsi ad elaborare ciò che stanno provando.


E' questo il motivo per cui oggi ho voluto pubblicare questo brano per dare voce come ha fatto Roselli nel suo libro e renderla condivisibile ed invitare a prendersi cura di sè per potersi prendere cura anche dell'altro.


Riferimenti bibliografici:

A. Roselli (2008),  Volevo diventare papà, Casa editrice Mammeonline

F. Faustini, F.Forte (2017), Un viaggio inaspettato. Quando si diventa genitori con la fecondazione eterologa



Puoi trovare i miei post pubblicati anche su https://valemoretti.wordpress.com/

12 visualizzazioni0 commenti
Post: Blog2_Post
bottom of page